Seminari
27 gen 2014
Rosanna Liburdi

Pieni riempiti di vuoto, relazioni superficiali prive di significato, il Bullismo.

Chi sono i giovani di oggi? Queste future generazioni dell’era post-moderna?

Negli ultimi mesi non posso fare a meno di notare nuove uscite di libri interessanti sulle famiglie, sui rapporti con i bambini e la loro formazione o anche ascoltare programmi radiofonici su argomenti preoccupanti di quanto l’educazione sia in crisi e le famiglie siano allo sfascio, o, ricevere inviti a congressi di psicologia, psicoterapia ove i temi rilevanti da trattare riguardino problemi di alcolismo, morti del sabato sera, e così via secondo il periodo correlato agli ultimi fatti di cronaca o viceversa, chissà.

Questi interventi sono fatti per lo più da "esperti" professionisti che si confrontano, dibattono, espongono teorie, rispondono a domande poste da genitori, insegnanti, associazioni, comunità, addirittura uomini politici.
Si parla, si discute nel senso peggiore del termine e non anglosassone del "to discuss" certamente meno agguerrito, semmai più costruttivo.

In fondo un po’ come sto tentando io in questo momento, scrivendo queste righe di parole poggiate così quasi per caso, nero su bianco sulle pagine bianche del mio taccuino per... per soddisfare un qualche mio bisogno, riflettendo sulle emozioni di tristezza, rabbia ed anche compassione, si, compassione suscitate in me dall’osservare alcuni eventi, ascoltando alcuni racconti e richieste di aiuto considerata la professione che svolgo.

E allora cerco pensieri codificati grazie all’esperienza emozionale vissuta e provo a essere esaustiva, chiara, comprensibile per chi leggerà questo scritto. Forse però non sarà sufficiente abbastanza, almeno per me.
Sono consapevole che manca ancora qualcosa alla ricetta, quell'ingrediente base che se si dimentica, il nostro prodotto finale rischia di fare un flop completo.
Che cosa?

La voce fuori dal coro, quella solista che si eleva acuta, uscendo fuori, a un certo punto, con tanta energia e dolcezza al contempo da un brano Gospel o Blues che si rispetti. Questo manca; e manca il tempo della performance che è unica e irripetibile, ossia l’improvvisazione fatta esclusivamente dello scambio di sguardi in accordo intimo (l’intesa) fra i componenti del coro e il "solista", ad esempio, cui spetta l’istanza di un’azione.
La magia di quei momenti musicali ha un non so che di speciale per la creatività, l’unicità, l’irripetibilità che mi fa pensare al carattere unico di un essere umano con il suo codice genetico, un’opera d’arte, insomma e alla spontaneità propria dell’età storica a cui, metaforicamente mi stò riferendo, l’età evolutiva, dello sviluppo.

A questo ora sono interessata per ciò che riguarda l’argomento bullismo.

La parte del "giovane" che esce come voce fuori dal coro, come solista; la parte del musicista che benché sia all’interno di un modello musicale di riferimento esce con i suoi tempi, spontaneamente, nell’improvvisare quel suono che fa la differenza. La spontaneità, la freschezza dei giovani protagonisti spesso degli argomenti sopra citati ma di cui, per quello che mi riguarda, non si tiene troppo conto.
In fondo la stessa situazione la si può ritrovare in tanti altri "ordinari piccoli imprevisti come ai grandi eventi esistenziali per i quali non disponiamo di un copione già noto, le nascite, le separazioni, le morti" (da Suoni Inauditi, D. Sparti, 2005) ma in questi casi, quelli relativi la gioventù sembra che ne siamo tutti degni di parlarne, forse per l’esperienza vissuta, (che illusione) a parte i diretti interessati del momento.

Dicevo, ora su questi miei appunti sto riflettendo sul tema bullismo, bullying, cyberg bullying.

Oh, quanto si parla di bullismo in questo periodo. Fatti di cronaca a non finire.
Anche io ho organizzato (su richiesta) un seminario su tale argomento, tale è la preoccupazione che c'è in giro fra la gente, in fondo un po’ è così.
È trascorsa l’ondata dell’enorme con-fusione tra femminicidio e stalking (due termini e definizioni assolutamente diversi); sembrerebbe abbassata la marea anche del problema sull’anoressia, e ora abbiamo a che vedere, faccia a faccia con questo strano, terribile, fenomeno del bullismo. La mia non è ironia.
Certo che la condizione è seria e pericolosa. Solo che la triste e personalissima sensazione, è che se ne parli perché se ne deve parlare, dobbiamo, siamo preoccupati se qualcosa succede e ci viene letteralmente "sbattuto in faccia" dai media, con il rischio del gioco dell'emulare perché oops abbiamo perso il controllo, quella tal cosa ci è sfuggita di mano e non doveva affatto accadere... non il fattaccio di per sé, è evidente, ma che la cosa ci sfuggisse; stupidamente andasse a finire sotto gli occhi increduli, scandalizzati di tutti.

Iniziamo. Perché?
Perché si danno risposte a senso unico sulla motivazione (se ne esisteva una nel senso logico del termine, pensato, riflettuto) che porta un ragazzo giovanissimo a fare un volo dal terrazzo di un palazzo non ricordo con precisione di quanti piani?
Perché non ci chiediamo come mai l’altro giovanissimo ragazzo, è tornato indietro a tentare di recuperare il suo giubbino oltre una ringhiera e un muro evidentemente alti e inequivocabilmente pericolosi, piuttosto che sfuggire all’ennesimo martirio della banda di scellerati pseudo amici che lo torturavano di scherzi gratuiti e dolorosi per lui?
La scuola è mancata perché non ha messo i cartelli di ALT divieto di saltare nel vuoto?
Ah, no. Pardon, divieto di oltrepassare un muro, saltare su una superficie che ovviamente porta il tuo corpo nel vuoto?
Perché non ci si chiede cosa induce i giovanissimi a detenere il primato in Europa (siamo i primi in classifica tra i circa cinquantamila ragazzi che in Europa ogni anno consumano alcol, all'inizio dei soli dodici anni - Fonte Osservatorio Nazionale Alcol Istituto Superiore di Sanità) nel consumo di alcol? Già questo è Bullismo.

Questo strano fenomeno insorto (sembra) recentemente e impossibile da gestire; così come questa gioventù fortemente a disagio così diversa dalla nostra ma che, bizzarramente, molti genitori in maniera nostalgica non vogliono per nulla abbandonare nell’identificarcisi e separarsene, tanto da essere orgogliosamente dei cloni dei loro figli.
Vestiti uguali, stessi oggetti d’identificazione quali: telefonini, orologi, anelli, ciondoli di ultima generazione, che per esibirli prima degli amici e dei figli dei loro amici, sono disposti a fare file chilometriche di tempi interminabili allo show-room di ultima generazione (magari aperto nell'enorme centro commerciale sotto le feste di Natale), concerti da seguire a prezzi esorbitanti (la cultura dovrebbe essere un po’ meno esosa e più alla portata delle tasche delle famiglie soprattutto se è per i giovani) e serial tv da collezionare in dvd.
Stessi contatti sui social network «beh cosa c'è di male, almeno posso controllare meglio chi frequenta, cosa fa ecc.» come se non fosse più semplice, ed infatti non lo è, stabilire insieme ai ragazzi una età, un limite da cui partire per aprire, per esempio, un profilo su facebook, raccontarsi, comunicando insieme, ciò che si ha intenzione di fare quel sabato pomeriggio e confrontarsi anche su pareri discordi ed accettando, con sofferenza, anche eventuali no.

Qualcosa non funziona, indubbiamente, ma questo non centra nulla e guai a dirlo.

Che cosa centra ora questo con i fenomeni di bullismo, di atti osceni come le baby-squillo o suicidi di minori se una mamma cinquantenne vestita pressappoco come la figlia adolescente esce con lei a fare shopping frequentando gli stessi identici negozi e misurando gli stessi identici capi di abbigliamento come farebbero due amiche oppure due sorelle?
Cerco di ragionare emotivamente (ricordo ancora una volta, che le emozioni sono ciò che sentiamo e che codificando pensiamo) su un fenomeno che è sempre esistito e negli stessi termini, con la stessa energia, a volte purtroppo con la stessa gratuita violenza (nei paesini o quartieri di città, non è che episodi di malversazione su persone, diciamo che si prestavano bene a essere vittime non ce ne fossero) ma che gli adulti sapevano di poter arginare, sapevano usare, anche sbagliando, la loro autorevolezza, laddove le situazioni venivano a galla.
Come?
Mediante l’educazione e quindi anche mediante le punizioni. I ruoli erano definiti con più chiarezza, forse erano semplicemente definiti; il rispetto per le regole come conseguenza, esisteva e i giovani si sentivano contenuti al loro interno anche i cosiddetti bulli. Nel senso che almeno, essendo riconosciuti, potevano forse avere un’occasione di riparare, di provare a riconoscersi e rassicurarsi senza più bisogno, dunque, di rifarsi sui più deboli.
Perché il Bullismo è questo, l’oppressione su chi ritengo più fragile di me. Tra le cause, spesso c’è quella che deriva da un mancato rapporto affettivo che il bullo vive in famiglie distratte a livello emotivo; dove ci sono relazioni d’indifferenza, freddezza, non accoglienza; a parte, rare situazioni più gravi di prevaricazioni e violenze e dove "l’essere bulli" potrebbe essere solo l’inizio di una carriera con un futuro di disturbi più seri quali l’antisocialità.

Oggi sembra che tutto questo sia impossibile affrontarlo, soprattutto con la giusta serenità. Un recente sondaggio sembra aver dimostrato che le coppie con figli si percepiscano meno felici di quelle senza.

(studio che compare negli atti della National Academy of Sciences. La ricerca è basata su due indagini dalla Gallup, il colosso americano delle analisi demoscopiche. Il campione che è stato preso in considerazione è piuttosto consistente, si parla di circa tre milioni d’individui. Per l’esattezza sono stati scandagliati un milione ottocentomila americani, nell’arco di tempo che va dal 2008 al 2012 e, iniziando due anni prima, un milione e settantamila altre persone provenienti da 161 paesi di tutto il mondo. Una fetta di umanità quindi abbastanza rappresentativa del sentire medio sull’oggetto della ricerca, che domandava ai partecipanti quanto sentissero la loro vita prossima a un modello ideale d’esistenza felice. Che potevano valutare con un punteggio da uno a dieci di quelle senza figli).

È interessante leggere l’articolo in questione perché descrive coppie genitoriali ignare di quello che voleva dire (anche solo a livello immaginativo) essere responsabile di un bambino che ha bisogno del genitore poiché persona piccola quindi con una serie di bisogni fondamentali per la sua crescita psicofisica. Com’è possibile dunque non aver considerato l’effetto che istintivamente e spontaneamente deriva dall’avere un cucciolo fra le braccia per giunta generato da te stesso?
Le cure parentali sono menzionate anche nel dizionario etologico di Mainardi e riguardano il provvedere ai bisogni di fame, sete, sonno, riscaldamento, trasporto, protezione da pericoli. Se pensiamo alla fatica e alle preoccupazioni di allevare cuccioli e sentirsene responsabili, certo ci può stare con il cambiamento della propria vita e se tutto questo fa correre il rischio di renderci in parte felici... beh forse non dipende dall’avere i figli oppure no ma da qualcos’altro sul quale dovremmo riflettere maggiormente.

Il punto ancora una volta è che cosa possano centrare tutte queste osservazioni con il bullismo? Gli effetti del bullismo sono soggettivi e le pressioni psicologiche silenziose che le vittime subiscono sono molto più deleterie rispetto a malversazioni di altra natura.

1) c’è solitudine in questa società. E la solitudine è un vissuto che accomuna il persecutore e il perseguitato, la vittima.
La collettività, un’organizzazione, oggi, massificata nel formare le future generazioni "sul che cosa si ha", non "sul chi si è".
Anzi, a questa semplice domanda, chi pensi di essere? Chi sei? Chi vorresti essere domani?
Spesso nei miei seminari, dopo sguardi attoniti e scoppi d’ilarità (manco scherzassi), appurato che le mie domande sono assolutamente serie e fanno parte del programma di formazione inizia la reazione emotiva dell’angoscia, della minimizzazione, del «ma non lo so, non ci avevo pensato, non pensavo di stare qui per questo, ecc.». l’impossibilità per un giovane di trovare uno spazio intrapsichico e relazionale per pensare al proprio sé e maturare così un’identità coesa vivendo emozioni intense, rischia di lasciare "buchi dell'Io", personalità dipendenti, non autonome incapaci di entrare in contatto con la solitudine sana di pensare il proprio sé.
Pieni riempiti di vuoto che spaventano e rincorrono relazioni superficiali o prive di significato.

2) l’indifferenza, la mancanza di confine e di limite dove tutto è concesso, dove le identità poggiano la loro esistenza sull’avere e, il potere qualunque cosa, in realtà può confondere, può far arrabbiare, può non contribuire a formare l'Io, (identità diffusa la definirebbe Otto Kernberg).
Il riconoscimento di me come persona e l’interesse nella conoscenza di me, potrebbe garantire la sicurezza di un Io e di me così maturo da raggiungere il vissuto di serenità. Lo dicevano i grandi pensatori greci Aristotele, Epitteto, Epicuro, Seneca. Lo racconta la meditazione Buddista; lo dimostra in vari studi scientifici recenti la psicoterapia.

Personalmente mi fanno rabbia le prevaricazioni di chi usa le minacce, sbeffeggia, violenta verbalmente, fisicamente godendo addirittura della sofferenza altrui o rimanendone indifferenti. Detesto la maleducazione. Come genitore poi, istintivamente sento la tigre in me che protegge i suoi cuccioli in ogni dove, a qualunque costo e di fronte a chiunque. Poi mi fermo e non posso prescindere dalla mia capacità, laddove è possibile, di ponderare la situazione per non agire impulsivamente.

Siamo spaventati, lasciamo correre, pensiamo che tanto non si può fare nulla e rimaniamo bloccati addirittura nel dare il nome alle cose che accadono, alle emozioni che proviamo. La paura è normale e il coraggio è necessario, allora ancora di più. Le punizioni servono se si contravviene a una regola.
Una volta mi è capitato di ascoltare un collega che si era fatto letteralmente sopraffare fisicamente da un ragazzino di circa otto anni perché a suo dire, bloccarlo, contenerlo fisicamente, poteva comportare chissà quale conseguenza al bambino (tipo livido o altro). Assurdo, poiché umanamente la sopraffazione subita era talmente vera e aggressiva che a un certo punto un agito impulsivo (spintone e rifiuto) ci fu.
Peccato che fosse da parte dello stesso collega che stava parlando. Il vissuto del bambino?
Un senso di colpa enorme con l’ennesimo "me lo merito" e va bene se mi sento rifiutato come in famiglia (era questa la sua storia).
Altro esempio?
Riunione sulla genitorialità dove o si calca la mano giudicando con tecnicismi gratuiti i poveri mamma e papà che, se stanno lì dal professionista spontaneamente (non per mandato di qualche Istituzione), forse si stanno mettendo già in discussione, o, in netta contraddizione, si raccomanda a loro di concedere permissivismi al minore, motivando questi interventi non educativi, come potenzialmente dannosi per i ragazzi "intoccabili" avendo loro fragilità e debolezze, frantumabili, al primo NO degno di nota per iniziare un percorso di crescita dello stesso.

Penso che come collettività dovremmo indignarci quando veniamo torturati da fatti di cronaca relativi i nostri giovani, la società di domani e poi dopo un mese, puff non ne sappiamo più nulla, il tutto, evaporato nel dimenticatoio.
La notizia che non è più notizia. La persona, quella che ha stuprato, malversato, ingannato, perseguitato, esiste e avrà una parte, domani nella comunità accanto ai nostri figli. Come possiamo non ribellarci a tutto questo?
Perché permettiamo che il ragazzo che aveva violentato la compagna di liceo continua a frequentare la stessa scuola della ragazza con gli stessi diritti?
Il diritto allo studio, certo che lo deve avere, magari però in un altro liceo?

Come possiamo parlare di Bullismo e non ascoltare questi ragazzi, qualunque sia il posto che occupano oggi?
I nostri nonni le punizioni le impartivano; le regole erano chiare anche quelle implicite e non erano messi in discussione i ruoli, l’autorità, ed anche l’amorevolezza degli stessi. Noi, al contrario, non sappiamo che pesci prendere.

«Perchè fanno così? Si chiude e non parla... non capisco che vuole o che gli passa in quella testa».

Peccato che, spesso, non gli venga neanche semplicemente chiesto.
Siamo troppo presi da con-tatti virtuali. Siamo esemplari in questo. Alcuni mezzi di comunicazione di alta tecnologia (grazie al progresso) sembrano facilitare non la vita, come dovrebbe essere la loro funzione, no.
Piuttosto questi strumenti sembrano facilitare l’isolamento, la riluttanza, lo stare insieme in modo creativo e intelligente e anche caldo, affettuoso.
Penso che dovremmo riflettere e offrirci ai nostri giovani oggi come adulti di domani, passar loro il testimone per vincere la staffetta senza tempo o luogo ma connessa non dis-connect, (ultimo film uscito negli USA e arrivato in Italia che sarà, certamente, un successo come botteghino d'incassi) disconnessa, senza contatto, senza scambio di sguardo veri, di tutto ciò che è reale e ci sostiene nella vita. La staffetta invece, se reale e connessa alle nostre esistenze, potrà garantire almeno chi siamo oggi e una nostra migliore qualità di vita.

[Credits Immagine: Laura Iacovelli]
articoli di Psicologia
pensieri
  • Il paziente è il miglior collega che abbiamo.    ▬ Wilfred Bion
  • La mente che si apre ad una nuova idea non ritorna mai alla dimensione precedente.    ▬ Albert Einstein
  • Non importa se stai procedendo lentamente; Ciò che importa è che tu non ti sia fermato.    ▬ Confucio
  • Mutare se stessi spesso significa rinascere più grandi di prima, crescere oltre se stessi.    ▬ Viktor E.Frankl
  • La mia mente ha una sua mente.    ▬ Allen Ginsberg
  • Solo uno sguardo "prosaico" e di strette vedute potrebbe considerarci due estranei.    ▬ D.Grossman
  • Una vita senza ricerche non è degna per l’uomo di essere vissuta.    ▬ Platone
  • Non dovrebbero forse questi dolori antichi diventare finalmente fecondi per noi?    ▬ Rainer M.Rilke
  • Ogni preoccupazione sull’idea di cosa è giusto o sbagliato rivela uno sviluppo intellettuale incompiuto.     ▬ Oscar Wilde
pensieri