Seminari
28 Ott 2014
Rosanna Liburdi

Barche alla deriva. Cercare se stessi "nonostante" il disorientamento.

Corriamo verso di noi, e per questo siamo l'essere che non può raggiungersi.
▬▬ J.P.Sartre, 1943 ▬▬

«Ci sentiamo, oramai sempre più spesso schiacciati da parole che rimangono strozzate in gola senza poter uscire dalle nostre bocche per dar nome alle emozioni che sentiamo.
Troppe volte ci troviamo in contesti dove il disagio è l'unico abito che ci sentiamo incollato addosso ma che preferiamo coprire con panni indossati da tutti per uniformarci e percepirci meno soli, più solidi, meno fragili. Vediamo allora di riappropriarci dei nostri pensieri, emozioni, sentimenti. L'auspicio, attraverso le righe che scriverò, sarà un po' questo, la riflessione su noi stessi e su ciò che stiamo vivendo oggi come oggi .»
- Rosanna Liburdi -

 

Nell'attività di clinico, continua senza sosta, l'incontro con persone insoddisfatte del loro vivere.
Ed è triste.
Sono persone che, in apparenza, conducono una vita tranquilla, cosiddetta "normale" ma scavando con poche semplici domande e rimanendo in ascolto, ci si ritrova a fare i conti con esseri umani stanchi, indolenti, addolorati, spaventati nei riguardi della loro esistenza e del loro vivere il rapporto con gli altri.

Il senso di solitudine che non è più rappresentato dalla capacità di sapere "stare soli con se stessi", conduce l'individuo alla deriva come un naufrago sopravvissuto ma stremato, disorientato e senza più forze.

Un conto, è poter godere di momenti sereni in cui si riesce a rimanere in contatto con il proprio mondo interno.
E lo si cerca, volendo, desiderando quell'angolo nascosto in cui nessuno altro può entrare e in cui ritroviamo noi stessi, ci conosciamo prendendoci cura del nostro Se.
Altro discorso è l'esperienza angosciante di rimanere soli, il senso di abbandono che si può vivere in relazione agli altri e sentire, in tal senso, un tale vuoto interno, come un sentirsi morire avendone paura al contempo.

Osservo il comportamento delle persone che conosco, di quelle che attraversano casualmente la mia strada o il mio studio.
Pensieri scambiati attraverso un modo di comunicare che lascia riflettere.

Le persone oggi come oggi non parlano. Eppure, anche in questo non usare il linguaggio, stanno comunicando qualcosa. Ricordate? "Non si può non comunicare" (primo assioma della pragmatica della comunicazione umana). Ebbene, comunicare. Che cosa?

Se penso al contesto socio culturale, alla crisi, all'appiattimento delle identità delle persone, mi arriva, mentre le guardo, vedendole ed entrandoci in con-tatto, tutto il loro disagio, aggiunto spesso ad un messaggio d'indifferente rassegnazione che richiama l'attenzione (per chi è del mestiere) al versante border nel senso che indicava Otto Kernberg, sulla "diffusione dell'identità".
Da un lato la crisi della società che irrompe nelle nostre vite e interrompe le nostre abitudini quotidiane;
D'altro canto la crisi come una mancanza di continuità che lascia le persone disarmate, inermi di fronte un cambiamento a volte talmente repentino che i limiti, i confini arrivano a varcare la soglia della sicurezza.

E i rischi dell'ansia per esempio delle nevrosi in genere, sono in forte aumento.
Vi è un bombardamento di stimoli ambientali che colpiscono i nostri sensi a dismisura. I livelli di frequenza statistica che discriminano la soglia di ciò che è "normale" e ciò che è "patologia" sono aumentati notevolmente.

Basti pensare che attualmente i farmaci più venduti e consumati sono le benzodiazepine (classe di psicofarmaci con diverse attività: ansiolitica, ipnotica, miorilassante).
Sarà un caso? O piuttosto una interessante correlazione che andrebbe maggiormente osservata, presa in esame (sicuramente molti colleghi già lo fanno con attenzione ed obiettivi scientifici) e parlarne, parlarne con le persone.

Xanax, Laroxil, En, Tranquirit, Lexotan, Tavor, Anseren, Ansiolin vado avanti, Antidepressivi: Prozac, Elopram, Entact, Zoloft, e altri che non sto qui ad elencare ulteriormente si prescrivono anche e più frequentemente presso il medico di medicina generale, quello di famiglia, per intenderci, si trovano in vendita dal farmacista sotto casa e si assumono come fatto di routine. E si conoscono, ah se si conoscono. Nelle nostre case sarebbe sufficiente aprire un armadietto dove si tengono solitamente i farmaci e tra un'aspirina, un antipiretico e pomate varie, oopsy, salta fuori uno di questi "innocui" magici prodotti "risolvi conflitto" per affrontare la giornata di lavoro, la coda quotidiana di traffico cittadino, quella riunione importante, la lunga notte insonne nella speranza che almeno una volta sia meno "lunga".

Sono una psicoterapeuta che fa clinica e non sono contraria tout court ai farmaci, trattando anche psicopatologie severe.
Il punto della discussion qui, non è questa. Piuttosto c'è da parte mia il tentativo di sensibilizzare tutti noi al malessere generale che viviamo e che osservo, a disagi che non si riescono a comunicare da parte delle persone, se non in modi indiretti, inconsapevoli, e dove la meglio sembra che comunque, paradossalmente, l'abbia proprio illusoriamente questo modo sovrastrutturato di comunicare, d'individuare i propri bisogni che forse non sono i "propri" ma del gruppo di cui si fa parte per sentirsi meno "soli".

Meglio convincersi che tutto vada bene, in termini di un "falso" adattamento, senza più la spinta motivazionale a cercare altro per se stessi; non con i "se", ma cercarsi con i "nonostante".

Fare luce sui propri bisogni e passioni implica difficolta, intima irrequietezza, un pellegrinare nel mondo della complicatezza senza sconti o scorciatoie per le soluzioni dei conflitti. Penso sia possibile e che valga la pena accettare tutto questo, per cercare un senso alla nostra vita senza doversi "anestetizzare", "dipendere", "annullarsi".

Il soggetto del sogno della vita è' in un certo senso uno soltanto: la volontà di vivere.
▬▬ (A. Schopenhauer, 1851 ▬▬

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